Per gli sportivi catanesi non ha certo bisogno di presentazioni perché rappresenta lo sport ed è un uomo che, allo sporto, ha legato tutta la sua vita. Ex pallavolista, si può certamente definire un manager sportivo a tutto tondo. Già segretario della Lega Pallavolo, della Federazione Hockey e, di recente, della Federazione di Atletica Leggera. Fabio Pagliara, anche vivendo lontano da Catania non riesce a non interessarsi alle vicende sportive catanesi. Nel 2024 sono arrivati 4 scudetti per la città di Catania: come vede il 2025?
“Resto attaccato e innamorato di Catania, quindi seguo con grande passione e attenzione tutto quello che potrebbe far diventare la città migliore o normale, come ci piace dire. Per lo sport ho due ragionamenti brevissimi. Abbiamo una grande fortuna, non lo dico in termini ovviamente politici, ma in termini proprio di competenze e di merito. Abbiamo a Catania tre persone che si occupano di sport e che sono competenti nello sport. Mi riferisco a Sergio Parisi, Enzo Falzone e Paolo Di Caro: persone che hanno una grande competenza, anche nell’ambito dell’innovazione dello sport. Questo è un vantaggio strategico, senza entrare in questioni politiche, un valore aggiunto, non indifferente”.
E sugli scudetti?
“Dico che sono eroi laici, i veri medagliati olimpici come mi piace definirli”.
Si spieghi meglio.
“Parlo di quelli che attualmente hanno associazioni sportive anche di base e di chi riesce a fare associazionismo sportivo di vertice. Credo che si tratti di realtà consolidate che potranno puntare alla conferma anche nel 2025 e che da questo punto di vista siano un esempio di programmazione e di passione, di durata nel tempo dell'idea”.
Purtroppo, però, non ci sono solo scudetti.
“E infatti un ragionamento più complesso e delicato andrebbe fatto su altre discipline sportive: parlo di Rugby o di pallacanestro. Insomma parliamo di sport dove non si riesce a eccellere. Il dato che dobbiamo aggregare a questo però è quello che la pratica sportiva, la sedentarietà invece, è nel Meridione, la più alta d'Europa e Catania non sfugge a questa problematica”.
Questa è una questione decisamente seria, importante.
“Si perché c'è un problema molto serio in termini di salute pubblica, in termini di capacità di aggregarsi. La Sicilia e il meridione rimangono fanalini di coda in Europa sulla pratica sportiva, sul concetto di sedentarietà, sull'obesità infantile. Questo tema è un tema di sport: l'articolo 33 della Costituzione ce lo ricorda e rappresenta un tema dal quale non possiamo non partire”.
Cosa manca ancora a Catania, dal punto di vista sportivo, per essere al passo con il nord Italia e l’Europa?
“Si dice spesso che c’è un problema di impiantistica, ma secondo me l'impiantistica in generale per il vertice a Catania c'è. Ragionamento diverso per lo sport di base, ma credo che invece il problema più grosso sia in tema di approccio e di mentalità per essere veramente ‘mitteleuropei’”.
E’ un problema culturale?
“Ancora l'approccio alla pratica sportiva è un approccio che viene visto a breve termine, con un grande ‘drop out’, come se la situazione fosse di nicchia. Oggi la riforma del lavoro sportivo, il contesto sociale, la parte legata alla digitalizzazione imporrebbero un differente approccio culturale per essere al passo con Nord Italia, con l'Europa. Ma persiste un grosso problema legato al tessuto economico sociale, che si palesa in poche risorse economiche. Ripeto, dal punto di vista strutturale mediamente Catania ha una sua espressione impiantistica che è interessante anche a livello nazionale. Ma persiste un problema culturale sul quale invece credo si debba fare ancora molto, sia dal punto di vista della dirigenza, ma moltissimo dal punto di vista della consapevolezza sociale di quanto faccia bene fare sport”.
Da qualche tempo presiede l’associazione dei manager sportivi: pensa che in Sicilia e a Catania in particolare manchi competenza in questo settore?
“L'ho proposto al ministro dello sport Abodi più volte e ci si sta cominciando a lavorare. Parlo di un piano Marshall non strutturale, ma su quelle che ci piace chiamare infrastrutture immateriali, in sostanza il capitale umano”.
Credo di intuire dall’idea di questo progetto, come in termini di competenza ci sia carenza.
“Credo che la Sicilia, quindi anche Catania necessiti, come del resto tutta Italia, ma in particolare il meridione, di un grande intervento in termini di competenza. I modi di recuperare risorse sono cambiati molto, oggi ci sono degli interessanti bandi, ma non è più come avveniva qualche anno fa quando arrivavano contributi pubblici a pioggia dalla Regione, dal Comune, dalle Province. E’ cambiato anche l’approccio degli sponsor che adesso chiedono dei ritorni concreti e quindi misurabili”.
La soluzione? La ricetta da prescrivere?
“Serve la formazione. Credo che ci sia un problema di formazione, ma che ci siano anche delle straordinarie eccellenze. Quindi Penso che molti dirigenti catanesi potrebbero diventare formatori. Il sistema sportivo italiano negli ultimi cinque anni
è cambiato totalmente: dalla nascita di Sport e Salute al Ministero, ai bandi che danno molte risorse, allo Sport per tutti, all’articolo 33 della Costituzione. Credo che si debba lavorare sulla competenza e sulla visione che a volte manca anche nel meridione”.
Parliamo di calcio. Negli anni passati il suo nome è stato più volte accostato al Catania. Peraltro ha avuto modo di collaborare con il Catania fc nell’organizzazione del ritiro estivo. Come mai anche quest’anno si riscontrano difficoltà e mancanza di risultati?
“Ovviamente premetto che le mie sono valutazioni fatte dall’esterno. La mia sensazione è che il gruppo Pelligra, l'holding Pelligra, sia arrivata in Italia, secondo me correttamente, individuando nello sport e nel calcio, ma anche nel basket uno strumento di ingresso per sviluppare business. Il che mi sembra corretto, anzi correttissimo. Pelligra ha pagato all'inizio, com’era normale, diciamo il noviziato, il fatto di non conoscere bene l'ambiente sportivo italiano, l'ambiente calcistico italiano e probabilmente anche la piazza di Catania. Detto questo credo che la vittoria della Serie D abbia un po' illuso l’ambiente che potesse essere tutto semplice. Ritenevo più che possibile che il primo anno di Serie C potesse essere di studio per conoscere meglio piazza, ambiente, mondo del calcio, mondo dello sport.
Significa che non si aspettava tutte queste difficoltà anche quest’anno?
“Se devo essere sincero mi aspettavo un anno di consolidamento, ma non mi aspettavo fosse così lunga la mancanza di risultati, a fronte di investimenti sicuramente appropriati. Occorre ancora una fase di ristrutturazione organizzativa e societaria che tenga conto delle straordinarie opportunità che fornisce la piazza di Catania. Come ho detto spesso occorre un approccio global, che sia da un lato globale e dall'altro locale, cosa che, però, mi rendo conto non è facile”.
Da manager dello sport, guardando il bilancio del Catania si è messo le mani sui capelli?
“Più che altro, per quello che ho potuto vedere nel bilancio colgo una grandissima potenzialità. Catania, e non lo dico io, è riconosciuta come una delle città maggiormente interessanti dal punto di vista dello sviluppo economico. Il bilancio
conferma questo in maniera straordinaria perché 6 milioni di incassi in serie C sono una grande cifra senza poter sviluppare le potenzialità internazionali, senza avere diritti televisivi e altro. Quindi, ripeto, io dalla lettura del bilancio la prima cosa che vedo è la conferma di una potenzialità straordinaria”.
E la seconda?
“Certamente gli investimenti sono stati fatti. Non mi sento di entrare nel dettaglio perché non sono un tecnico, ma qualche errore nell'approccio c'è stato. Poi c’è sempre la problematica legata agli atleti che vengono a giocare a Catania e il peso della piazza di Catania e della sua ambizione”.
Tirando le somme?
“Il grande investimento fatto dal gruppo Pelligra dimostra le potenzialità del gruppo stesso, poi ci sono le grandi potenzialità della piazza, una piazza che riesce a produrre, cosa non facile in questo momento nel calcio italiano. A questo punto credo che occorrerebbe ragionare: perché la sostenibilità non può passare da costi così alti, peraltro non strutturali visto che non si è ripreso Torre del Grifo o costruito un altro impianto. In sostanza non si è consolidato il patrimonio ma si è investito sui giocatori che sono ovviamente patrimonio, ma in maniera diversa. Luci e ombre nel bilancio, ma mi piace pensare al bicchiere mezzo pieno, quindi alle potenzialità straordinarie che questo bilancio dimostra”.
Qualche anno fa provò a portare a Catania il progetto di polisportiva che funziona in tutta Europa. Pensa che nel 2025 possa essere nuovamente praticabile come idea o a Catania è impresa impossibile?
“Su questo argomento serve un ragionamento più complesso”
Proviamoci. Non abbiamo fretta…
“Tempo addietro pensai ad un gruppo che esiste ancora con caratteristiche diverse e che è Catania al Vertice. L’idea era di mettere in rete alcuni servizi e alcune potenzialità di Catania ma non come polisportiva bensì come servizi di marketing territoriale che possano abbattere molti costi”.
Ci faccia qualche esempio
“Magari sto sognando, ma immagino un abbonamento unico che possa riguardare, per esempio, il calcio, la pallavolo, il beach soccer, il calcio a 5 e la pallanuoto. Ipotizzare, escludendo il calcio che ha una vendita diversa, alla vendita di alcuni pacchetti di sponsor comuni a livello nazionale. Si possono individuare dei servizi che se presi collettivamente costino di meno, quindi credo che un'attività consortile sia non solo fattibile, ma moderna e ancora assolutamente praticabile”.
Il calcio, dunque, fa storia a sé…
“Sul calcio che diventi polisportivo è più complesso. Il calcio vive su altri parametri, ma credo che il calcio, così come avviene per lo sport italiano, possa avere una funzione di legacy sul territorio anche per le altre società. In questo senso il Catania Fc possa essere uno strumento ulteriore per lo sviluppo, non come polisportiva in senso puro, ma come sviluppo delle altre attività sportive. Infine continuo a essere convinto, e credo che su questo ci si debba lavorare in parlamento, nel riconoscimento e sulle potenzialità del modello tedesco per il calcio. Penso alle proprietà diffuse, credo che sarebbe auspicabile che sempre ci sia una quota molto piccola, il 4,5,6 o 7% di quote redistribuite sul territorio in maniera diffusa perché consentono al territorio stesso di avere una funzione, mi passi il termine, di controllo, di sviluppo e di supporto territoriale. Una funzione concreta che permetta di intervenire dentro il CdA e non soltanto per fornire un consiglio da tifoso. Una piccola quota, che può sembrare un'influente, ma che dà delle opportunità di crescita che siano poi collettive, questo continua a essere il mio grande auspicio”.